
“La bambina che amava troppo i fiammiferi”
“La bambina che amava troppo i fiammiferi” di Gaétan Soucy è un affresco dell’anima umana in preda ai suoi tormenti più profondi. È una storia di rapporti conflittuali capaci di trasformare i sogni in rimpianti e la solitudine in una gabbia dalla quale è impossibile fuggire, se non attraverso il filtro distorto della fantasia e di ricordi frammentati.
Recensione
Quella che vi presento oggi non è una semplice storia, ma una bomboniera preziosa al cui interno sono racchiusi frammenti puri e dolorosi di un’anima. È il racconto di una ragazzina che sognava le ali per volare, ma che si è trovata invece incatenata a un’esistenza glaciale, scevra di affetto, calore e sguardi compassionevoli.
Cresciuta insieme al fratello in una grande casa diroccata, sotto l’egemonia spietata di un padre tirannico e fanatico religioso, la giovane protagonista – il cui nome, Alice, ci sarà svelato solo in un momento di potente rivelazione – è costretta ad assistere a rituali oscuri che intaccano irreparabilmente la sua purezza e la sua gioia di vivere. La violenza paterna, ossessionata dal concetto di colpa e pentimento, forgia una realtà distorta in cui la paura si trasforma in venerazione malata.
In questo deserto emotivo, la confusione sulla propria identità diventa totale per Alice: il padre si rivolge a lei e al fratello chiamandoli semplicemente “figlio”, un’atto di negazione che la fa crescere credendo di essere un maschio. Solo due ancore di salvezza tengono a galla il suo spirito: i libri di cavalieri, che le aprono mondi di avventura e coraggio, e la scrittura, o meglio, ciò che lei crede di scrivere, un’attività quasi onirica che le concede tregua dalla reclusione.
La morte del padre rappresenta non una liberazione, ma l’inizio di un viaggio ancora più scioccante: il contatto con il mondo esterno le mostrerà, infatti, nel modo più crudo possibile, l’abissale confusione che governa i suoi pensieri e i suoi sogni.
Questo libro di Gaétan Soucy è un affresco dell’anima umana in preda ai suoi tormenti più profondi. È una storia di rapporti conflittuali capaci di trasformare i sogni in rimpianti e la solitudine in una gabbia dalla quale è impossibile fuggire, se non attraverso il filtro distorto della fantasia e di ricordi frammentati.
Il vero capolavoro, tuttavia, risiede nella sua lingua. Il linguaggio è un’opera d’arte in movimento, che rispecchia fedelmente i tumultuosi oscillamenti psicologici di Alice. La prosa dell’autore compie un miracolo stilistico, passando con fluidità sconcertante da termini inventati, a cui Alice attribuisce significati tutto suoi, a momenti di altissimo lirismo e poesia pura. Questa rendita linguistica non è mai fine a se stessa; è invece lo strumento perfetto per calarci in una coscienza ferita e meravigliosamente complessa.
La bambina che amava troppo i fiammiferi è, in conclusione, un gioiellino dalla potenza rara. Caratterizzato da un finale magistrale che risuona nel lettore a lungo dopo aver girato l’ultima pagina, il libro non si limita a raccontare una storia, ma la incarna in ogni sua parola. Un’esperienza di lettura indimenticabile e profondamente commovente.
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